Introduzione alle criticità nell’impiego del fosforo nell’alimentazione del pollame

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Categoria: 50esimo CN2014

F. CALINI*
Vice-Presidente dell’Associazione Scientifica di Avicoltura
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Il fosforo (P) svolge numerose funzioni negli organismi viventi, per i quali è un principio nutritivo assolutamente indispensabile.

È naturale pensare al P come costituente delle ossa, ma prima ancora il P è la chiave di volta del metabolismo energetico delle piante e degli animali, in quanto è una molecola fosforata, l’ATP che è la “moneta di scambio” dell’energia in tutti i sistemi metabolici. L’Adenosina-Tri-Fosfato (ATP) rilascia energia venendo degradata a Adenosina-Di-Fosfato (ADP) e ione Fosfato, e assume energia riformando ATP. Si calcola che in un uomo adulto di 70 kg la quantità di ATP formata giornalmente sia pari al peso vivo – Il meccanismo, ovviamente, non consuma P, che viene riutilizzato, ma media ed attua il rilascio dell’energia a livello cellulare –.

 

 

Scarica la presentazione in formato pdfIl P nelle piante e nei prodotti vegetali è abitualmente presente in una forma specifica, il Fitato, che permette la concentrazione del P a livello del seme, riducendone però la disponibilità per i “predatori” del seme stesso, e gli animali superiori, uomo incluso sono tra questi. La forma Fitinica del P è quindi uno strumento di immagazzinaggio di P di pronto impiego, che l’embrione della pianta può attivare attraverso la produzione di un semplice enzima, la fitasi; ma la maggior parte degli animali e l’uomo non possiedono questo enzima nel loro arsenale, ed il P fitinico è quindi di fatto protetto, largamente inutilizzabile, a meno di fare ricorso – solo negli ultimi 25 anni – a fitasi esogene prodotte da muffe e/o batteri variamente ingegnerizzati, aggiunte agli alimenti.

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Il P è quindi molto importante per gli animali ma è importantissimo per il regno vegetale. Il P infatti è un nutriente indispensabile per le piante, e il largo utilizzo di fertilizzanti fosforici è alla base della cosiddetta “Rivoluzione Verde” che negli anni ’60 e ’70 ha reso possibile la soluzione dei problemi alimentari dell’India e di numerosi paesi in via di sviluppo. In effetti considerando il consumo complessivo a livello mondiale di P elemento, l’uso come fertilizzante è prevalente, ed insieme con gli usi per la detergenza copre circa il 90% del totale, l’uso zootecnico vale circa il 10% includendo una piccola percentuale rappresentata dall’uso in alimentazione umana – polifosfati alimentari –.

Il P non è certo tra gli elementi più abbondanti nella crosta terrestre – si parla dello 0,01% –  ed è spesso presente in forme molto diluite che ne rendono l’estrazione costosa e difficile. Come se non bastasse questa risorsa non è affatto distribuita in modo omogeno nelle terre emerse, ma le riserve di P ad oggi conosciute assommano circa 65 miliardi di tonnellate di fosfatiti, di cui 50 però tra Marocco e Sahara occidentale. La Cina è seconda in questa classifica di “ricchezza fosforica”, ma con 3,7 miliardi di tonnellate soltanto. In Europa, molto semplicemente, di Fosforo non ce ne è.

Per molti anni il prezzo dei composti fosfatici di uso comune in alimentazione animale – Fosfato Bicalcico, Fosfato Monocalcico, Fosfato Monobicalcico – è stato pressoché costante, nonostante i consumi mondiali siano in crescita costante da oramai molti anni. Un episodio di siccità nell’emisfero australe, a cavallo tra 2007 e 2008 ha avuto però conseguenze largamente inaspettate. A causa della siccità in Australia il raccolto cerealicolo di quel paese ha subito una forte contrazione, con una perdita stimata attorno ai 20 milioni di tonnellate. Il prodotto mancante era quello che di norma sarebbe stato esportato verso la Cina, già allora fortissimo consumatore di derrate sul mercato internazionale. La Cina si è rivolta ad altri mercati, il prezzo internazionale del grano si è alzato e così i prezzi futuri, e la conseguenza diretta è stata un aumento delle superfici seminate a grano, in tutto il mondo; ma i terreni già vocati a questa coltura ne erano già investiti, per cui sono stati passati a grano terreni con altra destinazione: il saldo netto è stato un aumento dell’uso dei concimi, in particolare fosfatici che quadruplicato il prezzo dei fosfati per i 12 mesi successivi : 1 ton di fosfatite marocchina è passato da meno di 100 a più di 450 US$ in meno di sei mesi, per poi rientrare a prezzi più moderati, comunque almeno 50% superiori a quelli di partenza. Da allora i prezzi dei fosfati non hanno fatto che salire e potranno solo aumentare, anche se dovessero venire scoperte altre riserve, anche importanti. Questo perché si è ragionevolmente certi che le fonti “facili” di approvvigionamento – quelle cioè per le quali il costo di estrazione e lavorazione è comparabile all’attuale – sono già tutte utilizzate: altre sono possibili, ma sicuramente a costi di estrazione e/o lavorazione molto maggiori.

 

 

 

Si tratta quindi di un problema di costi? Non solo. La nutrizione animale ha attraversato gli ultimi 50 anni senza soverchi problemi di copertura dei fabbisogni conosciuti di P dei animali in allevamento, e la scoperta ed il largo impiego della vitamina D3 ha cancellato anche dai nostri ricordi problemi come il rachitismo, che pure erano largamente diffusi, e non solo negli animali; ai costi modesti delle fonti di P minerale, ci siamo potuti permettere di svalorizzare il P di origine vegetale, presente naturalmente negli ingredienti, perché non c’era un problema economico. Allo stesso modo ci siamo potuti permettere modalità di espressione dei fabbisogni largamente eccedentarie, con vasti margini di sicurezza, che in prospettiva non ci possiamo più permettere. Dobbiamo quindi cominciare a valutare disponibilità e fabbisogni di P in un modo coerente e molto più realistico rispetto a quanto abbiamo fatto finora – ed il problema riguarda tutti coloro che alimentano animali, in tutto il mondo, per garantirci accesso alle risorse a costi accettabili.

I differenziali derivanti da una diversa valutazione di fabbisogni degli animali e disponibilità del P negli ingredienti sono importanti, e non solo dal punto di vista economico: impattano infatti anche sulla valutazione/valorizzazione/impiego delle fitasi, sul P escreto dagli animali e quindi non solo perduto ma potenzialmente dannoso all’ecosistema attraverso i meccanismi della eutrofizzazione delle acque. Inoltre la valorizzazione delle diverse fonti di P cambia radicalmente a fronte di diverse modalità di espressione di valori e fabbisogni.

Che il problema sia serio lo si vede facilmente: basta prendersi la briga di una breve ricerca in internet dove c’è già chi pubblica ricerche sul riutilizzo in alimentazione animale delle ceneri residue dal processo di combustione della pollina a scopo energetico – vogliamo parlare dei problemi derivanti dall’ accumulo dei metalli pesanti in quelle ceneri, e dei composti organici clorurati, tipo diossina? – Ovvero che già ci sono ricercatori che investigano le possibilità di recuperare Fosforo dai liquidi fognari delle grandi città, cristallizzandoli adeguatamente – cristalli di struvite, ben noti ai calcolosi.

Quello che possiamo fare, in qualità di nutrizionisti – prima di raggiungere questi estremi, che richiedono un enorme lavoro non solo legislativo ma culturale e psicologico sui consumatori – è cercare di non sprecare nulla delle risorse che ci sono affidate per nutrire l’umanità.

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